Se la BCE e l’inflazione fossero avversarie in un incontro di pugilato, probabilmente la prima vincerebbe ai punti.
I dati pubblicati ieri, infatti, hanno confermato che, per la 1° volta dal 2021, l’inflazione (Area UE) è scesa sotto il 2%, il tanto ambito target, designato, non solo dalla BCE, come l’obiettivo della propria “mission”, arrivando, a settembre, all’1,8%, ben lo 0,4% sotto il 2,2% di agosto.
Indubbiamente, se pensiamo che circa 2 anni fa si viaggiava alla “velocità di crociera” del 10/11%, un grande risultato.
Ad una lettura più profonda, però, notiamo che il calo di settembre è in gran parte dovuto alla caduta dei prezzi dell’energia, diminuiti, su base annua, tra il 6 e il 7%. Infatti l’inflazione core (quella che contempla anche i prezzi dei prodotti più volatili, e quindi energia e alimentari) rimane “ancorata” al 2,7%, con una variazione minima rispetto al 2,8% di agosto, con una previsione di una leggera “rimonta” verso l’ultima parte dell’anno (peraltro nulla di preoccupante). A completare il quadro la conferma che l’inflazione, nel nostro Paese, è inferiore a meno della metà di quella europea, facendo segnare, a settembre, lo 0,7%. Un aspetto, quest’ultimo, che potremmo definire a “luci ed ombre”: la luce è, ovviamente, che i prezzi sono scesi ad un ritmo anche maggiore rispetto a quelli del resto dell’Europa, l’ombra, invece, è l’indicazione che i consumi italiani denotano un andamento più negativo rispetto a molti altri Paesi europei.
E proprio i consumi costituiscono uno dei più importanti “indicatori” sullo stato dell’economia. Sempre ipotizzando un ring, se questa volta gli avversari fossero le Banche Centrali e l’andamento delle varie economie, probabilmente il verdetto sarebbe sulla parità. Anzi, forse qualche giudice (gli analisti e gli economisti) avrebbe ben più di un dubbio sulla tempestività e sull’adeguatezza delle decisioni da parte “decision makers”.
Da tempo si discute in merito ai rischi di una caduta più o meno forte dell’economia (soft landing o hard landing: tradotto, economia che viaggia ad una velocità ridotta, ma che comunque continua a crescere, o in “caduta libera”, e quindi in recessione). Osservando i dati di settembre, ad oggi senza dubbio rientriamo nella prima ipotesi. Ma anche qui, “scavando” un pochino, ci rendiamo conto che le preoccupazioni sono ben più d’una.
Il manufatturiero, per esempio, continua a scendere. In Italia siamo scesi al 48,3 (49,4 ad agosto), 6° mese consecutivo di discesa. In Germania addirittura al 40,6 (42,8 agosto), il più forte calo degli ultimi 12 mesi. Una discesa il cui “contributore” più forte è il settore automotive, che sta attraversando una fase piuttosto complessa, tra domanda in restringimento e dubbi sull’elettrico, con “costi-benefici” messi quotidianamente in discussione.
Ma a preoccupare sono anche una domanda ovunque in calo e la crescita delle tensioni geo-politiche internazionali, a partire dal medio-oriente, che mettono in discussione le aspettative di imprese e famiglie.
Insomma, per molti “non c’è più tempo da perdere”.
Il “bazooka”, in questo caso, è la politica monetaria, l’arma principale, al momento, a cui si ispirano le Banche Centrali.
Dopo i cali di un paio di settimane fa ( – 0,5% FED, – 0,25% BCE) le previsioni sono per un susseguirsi di tagli piuttosto ravvicinati.
Per Morgan Stanley la BCE, da qui a marzo 2025 la BCE ad ogni riunione del Consiglio Direttivo taglierà di uno 0,25% (siamo al 3,50%), per arrivare, a fine 2025, all’1,75%, considerato il tasso neutrale (vale a dire che inflazione e livello di tasso si equivarranno). Mentre Bank of America si spinge sino all’1,5%, anticipando di 6 mesi le precedenti previsioni.
Negli USA la FED dovrebbe “manovrare” la politica monetaria sino ad arrivare, a fine 2025 al 2,87%, vale a dire 1,88% meno dei livelli attuali (siamo al 4,75%).
Hanno ragione, quindi, gli addetti ai lavori a dire “dobbiamo finire il lavoro”. E non potrebbe che essere così, visto che “il lavoro” è appena iniziato (a giugno la BCE – anche se poi interrotto dalla pausa estiva – 15 giorni fa la FED, “impaludata” per circa 12 mesi: ma da quelle parti le cose, va detto, erano e sono un po’ migliori rispetto all’Europa, con un’economia che continua a marciare tra il + 2,5 e il + 3% e un livello di disoccupazione intorno al 4,2/4,3%, sopra i minimi di qualche mese fa, ma ancora in piena “confort zone”).
Mercati del Pacifico sempre “orfani” di Shenzen e di Shanghai. Ma non di Hong Kong, che ha riaperto, dopo la festività di ieri, con un nuovo “botto”. L’Hang Seng, l’indice di riferimento, sale di oltre il 5,3%, con l’Hang Seng Tech (quello che racchiude i 30 titoli delle maggiori società tech) che arriva a sfiorare il + 9% (8,72%).
Non bene Tokyo, con il Nikkei sceso del 2,27%; pesa l’insediamento del nuovo Governo, guidato da Shigeru Ishiba, con molti operatori perplessi sulle intenzioni del nuovo Premier in ambito monetario-economico.
In ribasso anche, a Seul, il Kospi (- 0,7%).
Piatto, a Mumbai, il Sensex 30.
Futures al momento in leggero territorio negativo, probabilmente in tensione sulle notizie provenienti dal Medio-Oriente.
Tensioni che hanno fatto salire il prezzo del petrolio: questa mattina troviamo il WTI a $ 71,08 (+ 1,68), che rafforza il già importante rialzo di ieri.
Ad un passo dai $ 3 (2,919, + 0,59%) il gas naturale Usa.
Leggera flessione, questa mattina, per l’oro, comunque sempre ben saldo sopra i $ 2.650 (2.670, – 0,82%).
Spread a 132 bp.
In forte discesa i rendimenti obbligazionari, in considerazione, come si diceva, delle prossime mosse delle Banche Centrali, con i tassi destinati a scendere, forse, più velocemente del previsto.
Il nostro BTP ieri sera è arrivato a toccare il 3,37%.
Bund ad un passo dal 2% (2,04, dal 2,13% di lunedì).
Treasury al 3,73% (dal 3,80 del giorno precedente).
Si rafforza il $, a 1,1067 vs €.
Bitcoin che cerca una boccata di ossigeno dopo le cadute degli ultimi 2 giorni: questa mattina lo troviamo a $ 62.060 (ma nella serata di ieri era arrivato a $ 61.000).
Ps: Spruce Spin. Non è Spoon River. È una piccolissima località (circa 2000 abitanti) situata nella Carolina del Nord. Sconosciuta, probabilmente, al 99% della popolazione. Ma non a chi si occupa di microprocessori. E lì,infatti, che hanno sede le due principali società al mondo che si occupano di trattare il “quarzo della purezza” (HPQ), materia ritenuto fondamentale nella catena di lavorazione dei microprocessori (in quella zona è situato il sito più grande al mondo di quel materiale). Una cittadina che da qualche giorno comincia ad essere meno “sconosciuta”. Da quando, cioè, è passato l’uragano Helene, con il suo “lascito” di distruzione e danni. Compresi gli allagamenti, che stanno mettendo a rischio l’attività delle 2 società (The Quartz Corporation e Sibelco Norh America). Insomma, ancora una volta si conferma di attualità il confronto Davide contro Golia, con 2 piccole realtà che rischiano di bloccare (o per lo meno mettere in difficoltà) il settore oggi forse più “trainante” al mondo.